Dissacrazione dell’intenditore di vini.

Una delle categorie più pruriginose, soporifere, tediose e irritanti che un rush cutaneo da ceftriaxone scansati è – il falso-esperto di vini.

Quello che in una tavolata con gente in cerca di relax o in un tête-à-tête romantico se la deve tirare in nome di un trend modaiolo volto ad elevare il testosterone ammantato di sofisticazione glam.

L’apologo del tannino.

Colui che frantuma i genitali attraverso espressioni che costituiscono tendenza e descrive il sapore della famosa bevanda mediante delle locuzioni pregne di pathos barra pseudo tecnicismo barra venature semantiche porno soft.

L’essere che si erge a una sorta di divinità elettiva perfettamente organizzata in un atteggiamento palpabile dissimulato da un’umiltà boriosa.

L’esperto di vini signori – appunto- rompe gargantuescamente i coglioni.

Senza edulcorazione di sorta.

Lui è sempre lì, pronto a intervenire con quell’allure confortante, prolisso-prosaica e rassicurante e il doppiopetto gessato con camicia lavanda e cravatta a nodo largo un po’ audace.

Te lo trovi declamante mentre spiega l’importanza della decantazione e si muove sicuro con roteazioni della mano sul calice che alterna a pause in cui sembra stia partorendo roba come “l’Infinito” di Leopardi ma in realtà è tutta scena.

Lui di base ci capisce poco, ha fatto dei corsi ma in fondo non gliene frega un cazzo.

Il suo intento è quello di stupire perché egosintonico o al massimo interessato a un sistema ginocentrico.

E allora vai col frasario stereotipato che non capisci mai cosa cazzo intenda perché di base dice tutto e il suo contrario.

A te non costa nulla. Per noi è una fonte di soddisfazione enorme.

E’ tutto un bouquet fresco ma sapido all’aroma di mora, che è corposo ma delicato.

Interessante, sempre.

Quando non sanno che cazzo dire se ne escono con questo aggettivo.

Lemma che tende a livellare – risultando comprensibile ma evanescente- il frasario elitario e ridicolo più adatto alla Nasa.

Questo intellettualismo radical chic che è fastidiosamente costruito su un malcelato susseguirsi di parole vomitate per il gusto di riempire vuoti.

Diciamolo francamente.

Che poi alla fine associano il rosso alla carne, il bianco al pesce e il passito ai dolci, un po’ come faccio io, ma insomma, ammetto di ingurgitarlo perché mi piace ma di non essere esperta.

Perché è da dire che ormai non puoi più chiedere di bere un bicchiere di nettare di Bacco senza dover affrontare per forza la sua storia, il vitigno e tutte cose assolutamente inutili.

E l’annata signori?

Cazzo, è sempre un arco di tempo introvabile – stile Barolo del 64- e poi non ne sanno assolutamente nulla.

Per non parlare se ti azzardi ad ammettere che ti piaccia più la birra.

Sei un grezzo di merda che merita il ludibrio pubblico spocchioso.

Un bicchiere di rosso è buono.

Amo- talvolta- sorseggiarne lentamente un calice quando rientro tardi dal lavoro, stanca.

Mi piace.

Ma posso essere padrona di berlo senza fottermene del resto?

Perché certe volte l’essenza non è necessario spiegarla.

Basta sentirla.

Valentina.

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