Donne e ciclo mestruale: le ragioni di un legame fotonico
Donne, deponiamo le amare illusioni di una vita e guardiamoci nelle palle degli occhi. Superiamo una volta per tutte la fase del rincoglionimento Harmony, quella che ci fa sognare e arrapare immaginando di darla al giardiniere colombiano delle nostre fantasie erotico-sfigate. Accantoniamo anche l’ambizione masochista nr.1, colei che ha un margine di realizzabilità dell’1,5% quando l’attributo zitella è ormai il segno particolare che ha sostituito “voglia natica destra” sulla propria carta di identità: trovare il vero ammore. L’uomo della vita, il martire disposto a subodorare i nostri “niente”, il fortunato che viene cagato da una donna che non è mammà.
Rassegniamoci: l’unica, vera relazione degna di nota, fondata sul reciproco sopportarsi, è il nostro sposalizio con le mestruazioni. Le fantomatiche “cose”, il Barone Rosso, l’ospite indesiderato o come cazzo ve pare. La leggenda narra che se si osa appellare il menarca con il suo nome d’anagrafe, infatti, un maschio a caso si svegli annaspando nel cuore della notte. Con la mano tesa, l’arsura crescente e la supplica “acqua gassata a gagganella”. Ad altri sembra esploda lo scroto per la paura, alcuni diventano impotenti quando individuano, nel raggio della propria comfort zone, una femmina che sfila un assorbente dalla borsa.
Ma vi ricordate come tutto ha avuto inizio? Quel giorno in cui, gaudenti della vostra esistenza cruelty free, vi siete trovate sulle mutande i risultati del primo vero lungometraggio splatter diretto dal vostro endometrio? Il mio flashback è ancora bello nitido e scintillante, come si compete alle storie sentimentali più importanti di cui si ricorda il limone d’esordio.
Avevo 11 anni e mezzo, professavo la religione politeista adorando i Pokemon e avevo già relegato la femminilità all’ultimo posto della mia personale top 10. Quella mattina avrei dovuto sostenere il compito di matematica: una materia che ha sempre svolto la funzione canonica di lassativo naturale, per me. E’ stato proprio mentre espletavo le mie funzioni velocemente (ai tempi non meditavo sul cesso, ero troppo spensierata) che trovai sulla carta igienica il segno incontrovertibile della rottura di coglioni per antonomasia. La mia reazione spontanea fu in bilico tra il “perché pure a me?” e il “ma mò mi sporco la mano di sangue quando mi faccio il bidet?”.
Mia madre, appresa la notizia da una mia versione afasica, pallida come un cencio, con un’espressione rassomigliante a quella di Paolo Brosio al cospetto della Madonna, sfoggiò il più tirato dei sorrisi e adoperò l’aforisma canonico da tirar fuori il giorno in cui la progenie viene segnata dal destino ineluttabile che aspetta tutte al varco: “auguriii, sei diventata signorinaaa!”. Il tono usato, un mix tra entusiasmo irrazionale e interpretazione arripizzata, raggiunse quei decibel che ti mettono la pulce nell’orecchio.
A te non costa nulla. Per noi è una fonte di soddisfazione enorme.
Fu solo quando tornai a casa che appresi quanto fosse diventato una tendenza il fatto che avessi iniziato a perdere sangue dalla vagina. Iniziai a ricevere telefonate di felicitazioni, con lo stesso principio di affettazione grottesca, tanto che qualche tempo dopo iniziai a capire che fossero tutti tentativi per indolarmi la pillola nello stile di Mary Poppins.
Da allora, i miei cicli mestruali sono stati contrassegnati più o meno tutti da contrazioni atte a partorire i figli incorporei di Satana; non sono pervenute parentesi di tregua, remake dello spot Lines Seta Ultra e frangenti di innocua propensione alla calma serafica.
No perché se esiste qualcosa che anelo, oltre allo status di maschio, è il culo a dir poco stratosferico di alcune compagne del gentil sesso con le quali il menarca è quasi amorevole. Queste infatti, secondo la leggenda, pare possano addirittura deambulare normalmente i primi due giorni, senza rischiare di apparire come se si fossero cagate addosso. Addirittura fanno sport, altre nuotano usando quei tappi assorbenti chiamati Tampax che bloccano la perdita in loco come il sughero con una bottiglia di Prosecco. Altre ancora, da quel che si narra, riescono a fare pure fiki fiki, immuni all’eventualità di ri-tinteggiare i muri della stanza per un paio di Elvis, the pelvis in the memphis.
Io vi stimo, sorelle. Vi stimo perché faccio parte di quel team di sfigate che per mera sopravvivenza ha dovuto imparare a ruotare la testa 360° per accertarsi di non aver cambiato tinta al jeans senza l’ausilio della coloreria italiana. Vi stimo perché se già il mio incedere, in condizioni normali, rimembra quello raffinato di un gorilla imprigionato nel corpo di un’alice spastica, in quei giorni mi fa assomigliare alla vecchia megera claudicante del villaggio con il vaffanculo nel portamonete. Vi stimo perché riuscite a mantenere integra la vostra fede integerrima verso l’attività fisica, mentre nel mio caso la firma sul contratto a tempo indeterminato con il pesaculismo brilla grazie a quel sottilissimo filo di luce che filtra dalla tapparella del mio bunker ribattezzato “sono il conte Dracula, minchia”. Vi stimo, infine, perché l’unico frutto dell’amor che riesco a concepire quando ho le mestruazioni è l’immagine di una clava: visto che è la sola casa che vorrei sbattermi, in testa, per tramortirmi 3 giorni almeno.
Ma io dico, a monte di tutto, ci rendiamo conto dell’entità di quella slinguazzata primigenia con la dea fortuna subita dal maschio? Puttana Eva (e qui si sposa benissimo col contesto), ma che divario ha mai creato? Mentre noi ci imbottiamo di palliativi vestiti di ibuprofene per chetare la raggia canina e il disprezzo cosmico, a Gennaro la giornata va storta per quel fuorigioco che gli hanno fischiato. Quando noi impariamo ad accettare il cratere sul mento che fa da promemoria e azzera libido e sensualità in un solo Taaaac, Ugo non riesce a gestire l’attacco di panico per quelle due dita nel popò che lo aspettano al varco di un controllo alla prostata.
Intanto mi genufletto al potere della mia dismenorrea, consapevole che mi mollerà quando la consistenza delle mie zizze rassomiglierà più a quella di due belle susine ammosciate. Fatelo pure voi, è meglio.
Ps: quanto cazzo aveva ragione Freud coi suoi vaneggiamenti sull’invidia del pene? Troppa.
Alessia
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