Ezechiele 25:17
il monologo scolpito nella storia del cinema
“Il cammino dell’uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà, conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il
ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare, e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore, quando farò calare la mia vendetta sopra di te.
Ora, sono anni che dico questa cazzata, e se la sentivi significava che eri fatto. Non mi sono mai chiesto cosa volesse dire, pensavo che fosse una stronzata da dire a sangue freddo a un figlio di puttana prima di sparargli. Ma stamattina ho visto una cosa che mi ha fatto riflettere. Vedi, adesso penso, magari vuol dire che tu sei l’uomo malvagio e io sono l’uomo timorato, e il signor 9mm, qui, lui è il pastore che protegge il mio timorato sedere nella valle delle tenebre. O può voler dire che tu sei l’uomo timorato, e io sono il pastore, ed è il mondo ad essere malvagio ed egoista, forse. Questo mi piacerebbe. Ma questa cosa non è la verità. La verità è che TU sei il debole, e io sono la tirannia degli uomini malvagi. Ma ci sto provando,
Ringo, ci sto provando, con grande fatica, a diventare il pastore”.
Sono 24 anni che Pulp Fiction è uscito nelle sale cinema.
Ventiquattro.
Ma la voce di Luca Ward prestata a un gigantesco Samuel L. Jackson – il motherfucka cinematografico per eccellenza- nei panni di Jules nel monologo finale di Pulp Fiction è sempre qualcosa che mi fa trascendere.
Intendiamoci, per me Tarantino è sopravvalutato, ma non si può negare la gigantesca sceneggiatura unita a un tocco connotativo mirabile.
E’ come uno di quei chitarristi riconoscibili. Ti possono piacere o li puoi detestare. Ma sono unici.
Questa pietra miliare del cinema – meglio conosciuta come l’Ezechiele 25:17, ovvero un passo biblico inventato a metà- ha sempre il suo porco fascino.
Nella sua innovazione del linguaggio cinematografico il regista compie soprattutto uno sviluppo della questione filosofica. Il film è permeato da interrogativi morali. Che si incontrano e si scontrano tutti in questa scena.
Nello specifico, per chi non ricordasse, Jules Winnfield (Jackson) e Vincent Vega – protagonisti della pellicola- killer dalle modalità singolari e con la parlantina abbastanza fluente- si ritrovano – dopo varie peripezie- in questo bar nella scena finale e incappano nei rapinatori Zucchino e Coniglietta. Eccoti servito il metaromanzo. Ecco l’apoteosi del genio. L’assurdo che prende forma. I killer professionisti minacciati da dilettanti incerti e maldestri. Naturalmente c’è un capovolgimento del potere prevedibile. Jules che da minacciato prende la pistola del minacciatore e opera la sua transizione. In una maniera singolare. Egli è depositario di una pietà rispettosa che si esprime addirittura nel regalo di contanti ai rapinatori, ma lo fa in maniera contraddittoria non escludendo totalmente una ritorsione, qualora loro prendano la famosa valigetta che lui gli intima di lasciare stare. E’ disposto a chiudere un occhio rispetto al tentativo di farlo fuori, a patto che non tocchino il bottino.
C’è qualcosa di più unico che utilizzare il mainstream, come la violenza e gli stereotipi letterari del “villain”, unito a una morbosità per la nicchia quale può essere un collage di un passo biblico? Ve lo dico io: no. In questi pochi minuti risiede tutto e il contrario di tutto.
C’è umiltà e presunzione. Raziocinio e forza bruta. Consapevolezza e paura dell’ignoto. C’è pietà e vendetta. Questo sentimento terribilmente umano che prende corpo nei protagonisti principali di suoi altri capolavori come Kill Bill – attraverso la “ruggente furia vendicativa” della sposa- o Django- Unchained – in cui la vendetta del negro Django – appunto- verso il famigerato latifondista prende corpo.
Vi è una giustificazione di uno dei più corposi peccati capitali. Una mancanza di presa di posizione morale contro tale “crimine” attraverso la considerazione etica della giustezza di chi la perpetra poiché intesa come giustizia. La redenzione qui avviene attraverso un avvertimento minaccioso.
Il trionfo della dicotomia. Il contraddittorio che si eleva. In tutte le sue forme. Lo stravolgimento del rapporto causa effetto in cui si opera una vera e propria destrutturazione causale.
Jules grazia Zucchino e Coniglietta attraverso la parabola della tirannia degli uomini malvagi, attraverso la minaccia dello sguardo contrapposta all’uso di alcuni aggettivi (“benedetto sia [..]colui che conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre”). C’è l’opposto che alberga nell’animo di tutti in cui vince alla fine il sentimento del buon pastore. Che ha l’aspetto di un killer capellone. Tutto è geniale.
Dapprima si presenta complicato nel manierismo della citazione.
Poi ritorna a essere pregno nella memoria storica di ciascuno di noi.
E infine si eternizza nel momento del congedo.
Valentina
Riflessione profonda, degna di una meravigliosa sensibilità.
Brava!
valentì sei sbalorditiva….hai colto e perfettamente descritto il meccanismo di uno dei grandi temi della narrazione tarantiniana: quello della vendetta come prima e primitiva forma di giustizia…tra Omero e l’Antico Testamento, e che non esclude, nonostante l’apparente contraddizione, la “pietas”. Ancora una volta mi inginocchio.