Soda e Caustica. Il blog Politically Incorrect

Il chitarrista del diavolo

Si narra che a Clarksdale, nel Mississipi, il crocevia tra le Highway 61 e 49, sia l’esatto luogo in cui Robert Johnson, pioniere e anima del blues, vendette l’anima al diavolo in cambio di un virtuosismo tecnico senza eguali. Sono sempre stata affascinata dalla leggenda del Delta e da questo genere musicale che totalmente si oppone al mio essere tendenzialmente raziocinante e rigida, da questo flusso che rende il pentagramma uno strazio in divenire e che fa della “blue note” quella caratteristica nota dissonante capace di trapanarti l’anima. Mi ricongiunge col mio centro. E noi tutti abbiamo bisogno di ritornare al centro di noi stessi.

Siamo nel 1911- in piena segregazione razziale- quando colui che avrebbe influenzato generazioni postume di musicisti, viene al mondo nella città di Hazlehurst, nella parte meridionale dello stato del Mississipi. Figlio illegittimo con un’infanzia trascorsa ai margini, Robert, ebbe una vita ammantata dal mistero, i cui aneddoti intrecciati ai riti Voodoo, alla morte e alla pentatonica minore -la classica nota malinconica blues- non hanno fatto altro che alimentarne il mito in tutti gli adepti delle melodie sfornate dalle polverose terre degli stati del sud. Johnson, che in un primo momento si mostra come un mediocre chitarrista, scompare per un anno dopo la morte della moglie e del figlio proprio durante il parto, per poi ricomparire- appunto- allo
scoccar della mezzanotte, presso un desolato incrocio, dove incontrerà un uomo nero che gli fornirà abilità inarrivabili per un comune mortale. A prescindere dal mistero in questione -quasi certamente falso- ma a cui tutti stentiamo a non credere, ciò che è importante è il fatto che questo straordinario artista resti una figura centrale del blues, nonostante i soli 29 pezzi registrati. Alcuni pensano – proprio per l’alone di enigma
che contraddistingue la sua vita- che il trentesimo esista ma non sia stato mai ufficialmente inciso, rimanendo nascosto chissà dove. Beh, voglio dirvi una cosa, quei 29 brani hanno contraddistinto la mia adolescenza, insieme – forse meno- ad altri mostri sacri successivi, ma ciò che è assolutamente certo è che senza Robert Jhonson non ci sarebbe stato il rock. Non sarebbe esistita la musica. Senza di lui gente come Clapton, Keith Richards o i Blues Brothers probabilmente avrebbero fatto altro. Lui fu il padre anticipatore di tutto, l’ispiratore assoluto.

Prime codifiche del giro blues, primi bending, primi fingerpicking – non vi spaventate, si tratta della tecnica consistente nel pizzicare le corde con le dita- alternati a una voce simile a un pianto. Straziante. Intenso. Non posso fare a meno di ricordare le innumerevoli volte in cui la mia schiena ha reagito con un brivido a quello che, il diavolo – qualsiasi cosa narri la leggenda- lo aveva nelle corde vocali. L’anima torturata e il sound ansioso hanno la capacità di trasformarsi in un groppo in gola gigantesco. Canzoni come Sweet Home Chicago, Love in vain o Crossroad costituiscono l’archetipo e il paradigma di questa disperazione mista a malinconia. Un canto dolente e un accompagnamento musicale incisivo, perentorio, dal quale si evince tutto il suo marchio di dissolutezza esistenziale applicabile a qualsiasi situazione personale. Il blues si sa, è un atto di fede, e per una persona così restia a lasciarsi andare come la sottoscritta, il blues diventa metafora di una feroce riappropriazione umana che tendenzialmente è svilita dagli steccati del mio essere
ma esiste anche se ben nascosta.

E’ l’inquietudine che prende forma, è l’accordo minore che fa sanguinare il tuo centro e amplificare i ricordi.

Ascoltare Robert Johnson è venire a contatto con quello che non ci dichiariamo. E’ dilatare i tempi, in un momento storico che ci vuole assolutamente celeri. E’ mettere a tacere i nostri demoni sublimandoli.

Sperando – metaforicamente- nel ritrovamento del trentesimo brano.

Valentina

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1 commento
  1. Salvatore Brogna
    Salvatore Brogna dice:

    Minkia che articolo! Tinnifriki i Rolling Stones…hai reso perfettamente la capacità del blues di dar corpo al tuo lato dionisiaco…

    Rispondi

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