La generazione della nostalgia

Adesso io non vorrei fare l’indignata, ma nel buttare le basi per questo post, mi sono accorta di essere una di quelle vecchie bacucche che i ragazzini chiamano “signora” sull’autobus. Una di quelle che usa da poco, come battesimo macabro, l’espressione “i miei tempi” , con un’attitudine a metà tra l’interdetto e il contrito per la celere scure del tempo. E non mi posso nemmeno incazzare più di tanto perché io a 20 anni consideravo quelli di 38 come attempati. Solo che il decennio scorso è davvero volato e allora mi ritrovo a essere giovane ma non più tanto giovane da desiderare ardentemente di crescere. Tutto ciò mi rende obsoleta rispetto a un recente passato in cui furoreggiavo incosciente ignara che il tic toc fosse un concetto assolutamente spedito e impietoso. Io faccio parte della cosiddetta generazione X, quella tranche di umanità cresciuta vivendo prima di tutto la messa in discussione, lo scetticismo e il diventare autonomi senza fidarsi di nessuno.

Noi siamo quelli che hanno visto approvare la legge sul divorzio e che hanno sentito parlare per la prima volta di disoccupazione. Siamo figli dei baby boomers, che storicamente sono coloro che che hanno vissuto appièno il sogno americano. Abbiamo ascoltato ipnotizzati manifesti musicali come “Smells like teen spirits” e siamo passati dal bigliettino di carta in cui dichiararci al compagnetto che ci creava i primi tumulti, al digitale. Abbiamo vissuto la tensione della Guerra del Golfo , ci siamo innamorate a suon di “Pretty Woman” e conosciamo a memoria l’Ezechiele 25:17 di Pulp Fiction. Siamo stati protagonisti della storia con la caduta del muro di Berlino, con tutto quello che ne è conseguito. Faccio parte di quella generazione che si cagava in mano all’entrata del prof autoritario che ti faceva sentire un essere totalmente inutile con un semplice sguardo. La stessa che andava in giro coi baffi in bella mostra, orripilanti maglioni extra large con spalline stile un giocatore di rugby, ciuffo rigorosamente laccato e jeans dalla vita ascellare. Alla controparte adolescenti brufolosi che si eccitavano con le caviglie – e con molto coraggio perché quella moda avrebbe ridotto in Mariangela Fantozzi anche una come Adriana Lima”- dotati di riga tricotica centrale ben incollata alla testa, anfibio slacciato e marsupio onnipresente a completare il tutto.

Siamo stati la generazione del passaggio. Abbiamo abbandonato le enciclopedie per i motori di ricerca, le discoteche per le chat, e Internet ci ha aperto quella finestra che i nostri genitori – per via di un bonario senso di apprensione- ci chiudevano. Siamo la gioventù del coprifuoco, del “no” come risposta e
degli sguardi complici che scrivevano il trattato della tua anima. In questo flusso mainstream di ricordi , osservo, le nuove frotte di pipparoli e fighette e faccio paragoni. Come chi mi ha preceduto. Come farà sicuramente chi mi segue. Per quella sorta di diritto inconscio alla nostalgia gerarchica.

E perché, ce lo insegna Tomasi di Lampedusa, bisogna che tutto cambi affinché rimanga uguale.
Valentina

Soda e Caustica: Il blog politically correct

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