Le pietre miliari del rock: Nevermind.
Il potente retrogusto del ricordo.
Sono passati 27 anni da quando questo terremoto musicale mandò all’aria i piani delle multinazionali discografiche.
I Nirvana – poco più che sconosciuto gruppo proveniente dall’anonima periferia di Seattle – si consegnarono direttamente alla storia cavalcando per molto tempo i primi posti della classifica.
Ricordo benissimo – l’impatto dirompente di queste note – quando da adolescente, le “incontrai” per la prima volta in radio. Intendiamoci, i miei gusti musicali non sono proprio caratterizzati dall’amore per il “grunge” – preferisco il rock tostissimo degli “ACDC” o la melanconia pregna e profonda del blues, compagno di viaggio in quasi tutti i miei dissidi interiori- ma è innegabile il valore perentorio di questo disco.
Lo compresi immediatamente, come una potente intuizione. Ricordo quella sensazione di disagio che ben si accompagnava a un’età in cui il malessere talvolta ti prendeva per mano accompagnandoti attraverso un “maelstrom” di somatizzazioni psicologiche difficili da gestire.
Ero in perfetta norma, nonostante la mia evoluzione caratteriale abbia avuto del gigantesco .
Insomma, la classica adolescente ribelle fino all’utero, contestatrice per partito preso e cacacazzi fino al midollo. Una di quelle che se ne usciva con accuse del tipo : “voi non mi capite, lasciatemi in pace” lanciate verso tutti gli adulti e in particolare verso i genitori , una di quelle che si rinchiudeva in camera a fare incetta di Doors e poesie di Baudelaire, una di quelle che – so che è difficile crederci – aveva lo Sturm und Drang marchiato a caratteri cubitali -e infernali- nel cuore. Il classico prototipo – peraltro banalissimo- della ragazzina conflittuale , con l’umore cangiante, che sognava un amore sconquassante e poi – di contro- veniva sempre scartata per l’amica figa al ballo di compleanno di un compagno di classe o al gioco della bottiglia.
Insomma: un’incazzata cosmica. Questo aspetto non è che sia cambiato molto – per la cronaca- sebbene i motivi scatenanti odierni siano altri rispetto a quelli di piacere al sesso opposto.
Comunque – al di là della digressione un po’ scassaballe ma doverosa poiché contestualizzante – parliamoci chiaro: “Smells like teen spirit” è l’inno che ogni gruppo avrebbe voluto o vorrebbe comporre.
Un gioiello perfettamente confezionato di dimensioni bibliche.
Quattro accordi assolutamente semplici, ma rigurgitati nell’aere – da Cobain, leader assoluto del gruppo- con la voce quasi eccessivamente gracchiante e con tutta la rabbia emblematica di una generazione e paradigmatica di un calvario tra coetanei che – proprio per i tumulti condivisi dovuti all’età particolare -si rispecchiavano nell’inquietudine e nel dolore di quelle strofe.
Orecchiabili in maniera quasi banale. Ma perentori , signori. Ti inchiodavano al punto. Quello della tua anima che si apprestava a entrare nel mondo e talvolta si sentiva malconcia – ignorando – che a postumi quelle sensazioni – sempre la stessa anima – le avrebbe invidiate poiché perfettamente risolvibili.
Ma in quel momento erano amplificate in maniera estrema. Perché non c’è assunto più vero del fatto che ogni età abbia i suoi dolori e che questi vadano rispettati.
A tal proposito, la strofa melodica alternata a un ritornello ormai simbolico , ne costituisce l’esempio più tangibile:
“With the lights out it’s less dangerous/ Here we are now, entertain us/ I feel stupid and contagious/ Here we are now, entertain us/ A mulatto/ An albino/ A mosquito/ My Libido”
Le parole qui sono quasi senza senso, ma ciò che importa è il modo in cui le proferisce il frontman , che aveva reso già palese la sua angoscia – terminata al culmine della sua carriera con un suicidio- nei confronti della vita.
L’assolo finale poi- suonato con quella veemenza a tratti sfociante nell’urlo disperato delle note – ne è l’assoluto emblema.
Ma il ciclone emozionale di questo pezzo di punta, è solo l’inizio di altro, comprensibile pienamente nella sua interezza solo dopo vari ascolti che si sedimentano nel tuo vissuto e si fanno strada a tratti impetuosamente a tratti in maniera più glissata.
“Nevermind” è il classico disco costituito da un’ora di pezzi semplici tecnicamente – e afferenti assolutamente a musicisti tutt’altro che virtuosi , ma che hanno assolutamente incarnato la virtù del talento quasi esclusivamente – attraverso- la potenza espressiva.
Giri di basso laconici, assoli acidissimi, ritornelli – appunto – memorizzabili e pertanto epici.
Il dolore che si declina – parimenti- attraverso malinconie di pezzi più morbidi come ad esempio : “ Come as you are”.
E ancora brani carichi di adrenalina in cui David Grohl – batterista attuale dei Foo Fighter e gallina dalle uova d’oro in termini di “reinventazione” musicale – ricorda assolutamente un martello pneumatico.
Anche l’abitudine di Cobain di accordare gli strumenti mezzo tono sotto è spiegata dalla ricerca spasmodica dell’accezione “straniante”, di quell’inciampo melodico atto a spiazzare.
Un’ora signori.
Una semplicissima ora che termina – comprensibilmente – subito, ma quasi si stenta a crederci, tante le sensazioni ti lascia sulla pelle. Talmente è capace di dilatare i ricordi.
Sta tutto qui. Nell’esortazione profetica del titolo.
“Nevermind”, ovvero : “non ci pensare”.
Magari riascoltatelo subito -adesso- all’interno di quella routine che a volte – ahimè- schiaccia .
Lasciate che la mente viaggi in un tripudio di rimandi nostalgici.
E apprezzatene il retrogusto agrodolce.
Semplicemente.
Valentina
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