L’unico paradiso dal quale non possiamo essere cacciati: il Ricordo.(semicit.)

I TNL , il Mi cantino e il pubblico sognante.

Poche sere fa sono uscita con mia cugina , personaggio molto più giovane che io frequento assiduamente .

Fatto sta che accetto sempre di buon grado quando mi  propone  queste serate  estemporanee,  primo perché sono curiosa come una scimmia, secondo perché quando mi si paventa la  birretta nel  locale alternativo con musica dal vivo io sono attratta come un’ape davanti al  miele e terzo – ma non meno importante – perché Roma di notte, nelle zone limitrofe alla mia abitazione – e quindi nel centro- è qualcosa di indescrivibilmente bello, soprattutto all’interno di quelle famose “ottobrate” che hanno colori e sapori sublimi.

Insomma – felice come una pasqua-  mi appresto a varcare i vicoletti di Trastevere per arrivare a destinazione e già sulla soglia del locale , un seminterrato carinissimo dai colori e dall’arredamento molto caldi e confortanti,  conosco il duo – sempre di giovanissimi- che si sarebbe esibito di lì a poco  e inizio il mio solito pippone  pro- musica fatto di scambi e ricordi afferenti al mio periodo da cantante. Loro,  molto gentili accolgono questa attitudine carica di ricordi – poi evidentemente sfiancati a loro volta  ricordano a me che devono esibirsi- si congedano e iniziano col soundcheck.

Premetto col dire che io non amo né il rap, né l’hip pop e nemmeno la commistione di generi fra le due cose.

Io amo mimare la chitarra di Angus Young, piuttosto che commuovermi  “abitando”  ballad fantasmagoriche come “Ride on” ( nella versione di Bon Scott), amo sentire i brividi lungo la schiena ascoltando Nina Simone, ho orgasmi multipli con B.B King , perdo la connessione col mondo ascoltando “A love Supreme” di Coltrane e Etta James scandisce le mie giornate inquiete insieme a Freddy Mercury.

Ho un gusto riconducibile a gente che ha fatto la storia – concernente  a epoche diverse ma con un unico filo conduttore : il talento magistrale netto. E questa è una cosa che non riconosco ai generi più recenti– in realtà dal blues deriva tutta la musica moderna- o a queste fusion che – tendenzialmente-  non mi entusiasmano.

In genere sono uditiva, per me uno con una  bella voce  può cantare pure l’elenco telefonico. Uno con un tocco riconoscibile alla chitarra può anche suonare i tre porcellini. Ho un approccio estremamente istintivo alla musica, in contrapposizione a quello che sono nella vita. Lo rivendico in maniera assolutamente ancestrale e soddisfatta.  Quando ascolto la musica che mi piace godo, nel senso più semplicistico del termine. Vengo ricondotta alle pulsioni più impetuose e semplici.

Trabocco di sensazioni. Tracimo di emozioni. Non ho filtri.

Ma con il concetto di “noto”, signori.

In genere non presto molta attenzione agli inediti, ho la spocchia – sinceramente anche un po’ fastidiosa – di chi-  in questo campo-   guarda dall’alto.

Ma non si finisce mai di imparare, perché mai avrei immaginato cosa sarebbe successo dentro me di lì a pochissimo.

I TNL – al secolo i The  Neverending Lovers – un duo – appunto- Hip Hop/rap ricco di contaminazioni che vanno dalla musica soul a quella  mediterranea, hanno letteralmente costituito la mia “madeleine” proustiana.

Hanno dischiuso ricordi.

Sono stati il “passpartout” di tempi andati che si sono riproposti violentemente e si sono piazzati come un groppone al centro della mia anima evocando lacrime trattenute.

E non solo per i testi e le musiche dirompenti  che – sebbene connotativi di una generazione sempre più avanti su tutto- mostravano dei capisaldi trasversali appartenenti alla giovinezza estrema – topoi come l’amore non corrisposto , il dolore , la forza di reagire, la lotta al sistema –  ma anche perché sotto al palchetto allestito c’erano proprio gli esponenti di quella generazione – al secolo i Millenials- di cui ho fatto anch’io parte diversi anni fa , che per noi  appartenenti alla classe 1979, è nota come Generazione X.

Così mi sono ritrovata – al solito- come un narratore eterodiegetico della situazione che osservava da fuori qualcosa che elicitava il ricordo.

Pelle d’oca a badilate signori.

Attraverso i liceali che cantavano a memoria i pezzi ho rivisto  tutta la gamma di umanità presente al liceo come una potente intuizione.

Non era difficile scorgere la strafiga del gruppo  – in realtà erano tutte carine a differenza nostra che , in pieni anni novanta, non avevamo un look clemente  e nemmeno l’estetista-  insieme alla controparte maschile che fingeva disinteresse ma che sbavava sulla tipa di turno impantanato in un sentimento estremo in pieno stile “ I dolori del giovane Werther”.

Il capellone magro e emaciato  col flute in mano che non avrebbe retto il terzo giro, che stava eccitato come un coniglio e ignaro poiché guardava il fondoschiena di quella immediatamente davanti facendo cadere il prosecco dal bicchiere. C’era il mattatore della situazione, il leader sicuro e faro della compagnia, la secchiona di turno e la tizia scazzata che imbruttiva tutti. C’era quella spensieratezza che solo i diciottenni possiedono. Quel potere del vivere “hic et nunc” fottendosene delle conseguenze che fa letteralmente invidia.

Parimenti , non sono arrivati in ritardo i flashback dello zaino “Invicta” e delle “All Star” nere o rosse amaranto. Le sigarette fumate di nascosto. Gli scherzi al maldestro di turno e le risate epiche. Gli aneddoti che rimarranno per sempre scolpiti nel cuore.

Non ha tardato ad arrivare il tuo pensiero – Nuccio – quello della tua mente brillante e del fatto che essa si sia spenta tragicamente sull’asfalto in un tragico pomeriggio invernale che ci ha lasciati tutti ghiacciati.

Il tuo sorriso , quell’espressione entusiasta e sfottente, io l’ho stampata a caratteri cubitali nel cuore.

Non la dimenticherò mai. E’ il contraltare che mi dà respiro quando realizzo – ogni cristo di volta- che non ci sei più e mi manca il fiato.

Ha fatto capolino la Smemoranda con gli amori inconfessati che facevano battere il cuore e rintuzzavano le zone lombari. (semicit.)

Si è presentata “Certe Notti” cantata a squarciagola, fin quando fa male, fin quando ce n’è.

La notte magica del pigiama party e quella del veglione.

Quella in cui l’unico problema era scegliere il vestito adatto e studiare la versione del giorno dopo perché la prof. di latino ti faceva il culo. Seneca , quanti cazzo di pomeriggi che mi hai fatto perdere a tradurti!

In una serata ho ripensato ai filoni, ai compagni e alle  compagne di classe,  ai sabato sera in cui mia madre mi dava un coprifuoco degno di Beirut nel 1982 e io – inesorabilmente ribelle- rientravo più tardi e la trovavo – costantemente dietro la porta a farmi un cazziatone inenarrabile. A dirla tutta alcune volte con la ciabatta in mano, per i miei conterranei “la tappina” è molto più chiarificatore come concetto.

In quella serata  è riaffiorata prepotentemente la notte prima degli esami in cui noi, cazzuti e ingenui diciottenni che si sentivano di mangiare il mondo, ci siamo riuniti ascoltando l’omonima canzone di Venditti. E si, quella notte era “ancora mia” esattamente 21 anni dopo,  cazzo.

Ho sentito il coccolone delle ballad di Nicola che mi faceva ascoltare la sua arte alla chitarra e l’umore adolescenziale cangiante di una testa di cazzo – quale la sottoscritta- che ascoltava i Doors,  faceva l’occhiolino a Jimi Hendrix e si commuoveva al suono di November Rain  dei Guns’n Roses.

Ho rivissuto gli anni della villa, dei miei amici capelloni che hanno fatto carriere che con quell’indolenza poco c’entrano poiché spinti dalla passione e dall’ambizione.

Ho ripensato ai miei amori adolescenziali – quelli che mi facevano battere il cuore per gente più grande che non mi cagava di striscio in quanto sfigata per eccellenza – alle gote rosse ,  allo sguardo “fantozziano” rivolto verso il basso  ogni volta che incrociavo il tizio di turno nella mia traiettoria visiva e ai “guardami se guarda ma non guardare” rivolti a una mia amica storica che ricorda ancora l’evento col sorriso sulle labbra.

Ho visto riaffiorare i tumulti di un cuore e di un’anima veementi.

In quelle due ore ho pensato alle risate , ai pianti, ai prof, al preside, ai bidelli – Maddalena chissà dove sei?- al pranzo dei cento giorni che noi abbiamo girato a cena.

Ho proprio accolto sulla mia pelle l’emozione del diploma, di quando mi apprestavo a ruggire per ingoiare la vita.

La tracannavo, cristo. Indomita e fiera.

Adesso la sorseggio, e va bene così.

In quelle due ore ho letteralmente dimenticato tutto.

Ho dimenticato che crescere ha arrecato affanni e che ogni tanto ci arrivi col fiatone.

Ho dimenticato la modalità a denti stretti che talvolta sei costretto a inserire.

Ho dimenticato di avere la sclerosi multipla e ho visto il mio corpo giovane, sodo e forte.

E – questa cosa- ha davvero del singolare, perché io mi confronto costantemente col fatto di essere malata. Ci dialogo con questa grande bastarda, con questa “bestia nera” che di fatto non si vede, ma si sente in ogni centimetro del mio corpo come una sanguisuga di energie.

Alessio e Matteo mi hanno consegnato una macchina del tempo in mano e attraverso i loro versi strong  in apparente  contrasto con le melodie talvolta soft  , mi hanno dato l’accesso per direttissima ai miei 20 anni.

Quei 20 anni che – esattamente 19 anni dopo-  possedevano quel retrogusto agrodolce che ti si ferma sulla pelle, ti blocca il respiro e dilata sensazioni mai sopite.

Ma – come si sa – dai sogni ti devi svegliare e – in maniera singolare – ci pensa la grossa autostima di una tipa a farlo.

Uno dei due , il rapper – sicuro e impetuoso ragazzo con la “rage” necessaria , complementare alla dolcezza e all’intensità dell’altro- vedendo una tizia assolutamente partecipe e quasi “pogante”, si pronuncia proferendo tali parole: “Sai che somigli a un’attrice?”.

E lei – che davvero non c’entrava un cazzo con l’icona che nominerà nei secondi successivi –  anche perché bionda e col polpaccio da coltivatore russo di barbabietole – immediatamente ribatte :” ah sì, a Audrey Hepburn, vero?”.

Beh signori: come un uragano ci ha riportati alla realtà.

Quella tizia costituiva  esattamente lo strappo nel cielo di carta di “pirandelliana” memoria , quella perdita di certezza che ti scaraventa al suolo. Quel concetto che ho studiato per parecchi mesi “all’uni”mentre mi apprestavo a sostenere l’esame di  “Storia della Critica letteraria” con Merola, ma che in un attimo ha preso una connotazione iconografica. Si è trasformato in uno di quei famosi diktat imprescindibili  della realtà – che inesorabilmente ti richiama sugli attenti.

Con il ghigno beffardo che di solito mi contraddistingue, guardo mia cugina e ci tratteniamo dallo scoppiare in una sonora risata.

Ma davvero, nessuno mi potrà mai levare quel sontuoso viaggio del gambero verso la me che è stata e non è più.

Grazie , “The neverending Lovers”- l’attitudine romantica presente sin dal vostro nome e il vostro innegabile talento ancora più apprezzato perché totalmente inaspettato – è stata balsamo per la mia anima.

Grazie per la magica serata.

Valentina

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3 commenti
  1. Fra’
    Fra’ dice:

    …i brividi, le lacrime, le emozioni…i ricordi…quelli belli…quelli brutti…quelli nostri…grazie Vale!
    P.S. Odio l’uso spropositato dei tre puntini sospensivi, ma nei miei, in questo caso, c’é tutta la nostra vita…Quanta Vita, Vale, quanta vita insieme a te (cit. Antonacci, amato all’epoca insopportabile ora… perché per fortuna in qualcosa si cambia!)

    Rispondi

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