Non ti amo più
La frasetta da pistola alla tempia immediata è arrivata per tutti. Come un uragano. Il senso è molto semplice e chiaro, ma l’altro inevitabilmente si ritrova a pretendere la genesi attraverso la ripetizione esasperata di concetti che in realtà andrebbero buttati nel cesso. Perché non ci sta nulla da fare. Se uno/una ti dice che non ti ama più, la migliore risposta a riguardo ( e anche quella più destabilizzante) sarebbe un :”ok” seguito dall’abbandono immediato della “scena del crimine”.
Insomma, è inutile raccontarsi balle, ma tu stai morendo di crepacuore e ti manca letteralmente l’aria.
La fine di un rapporto, per chi viene lasciato, e per chi ama davvero, è tragico. Al diavolo tutte le minchiate su quanto sia difficile lasciare. Passato il momento topico, la maggior parte dei partner che abbandonano, in realtà il giorno dopo sta già scopando con un altro o un’altra. Punto. È così. Sono rari i casi in cui si prende consapevolezza di una eventuale incompatibilità caratteriale, anche se oggettivamente esistono.
Solo che l’essere umano è vigliacco, per cui preferisce prima apparecchiare su un altro tavolo, ma continuare lo stesso a fagocitare le briciole di un rapporto senza nutrienti per un tot di tempo dal tuo. E poi zac…vattene affanculo…ma col sorriso.
“Non è colpa tua”, “sarai sempre una parte di me”, “ci abbiamo provato”. Tutte le ipocrisie del caso sono servite. La crudeltà dei rapporti risiede nei tentativi di civiltà. Mi hai sfanculato?
Sii diretto e conciso, e poi vattene a fare in culo. Non è detto che la tua coscienza debba stare bene a forza. Ti prendi la responsabilità di ciò che hai fatto.
Intendiamoci, io sono la prima a dire che stare insieme possa non essere eterno.
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Ma ci sono dei ruoli. È giusto che tu mi lasci perché non mi ami più ed è altrettanto giusto che io sia incazzata/o per questo, anche se non serve a nulla.
Che non serve a nulla te ne accorgi inevitabilmente, tragicamente, in seguito. Ma, come si dice, questa è la vita. Sei andato/a a vedere il punto e ti sei accorto/a di avere in mano un bluff. Le cose stanno così.
La più grande ingiustizia dell’avere condiviso qualcosa sta nel “dopo”. Perché tutto il finto “buonismo” e “tatto” del prima viene-immancabilmente- meno. Tradotto: se frequentate gli stessi posti, avete gli stessi amici, condividete più o meno gli stessi interessi, stai sicuro/a che a breve lo/la vedrai spalmato su un altro o un’altra come un francobollo. Questa è statistica, macabra, ma sempre statistica è. A mio avviso sarebbe sufficiente sapere, si razionalizzerebbe meglio; ma vedere…Cristo, vedere no. È troppo! E tu sei costretto/a a mantenere la calma per orgoglio misto a dignità. In realtà la scena ti segnerà, sarà un cluster eterno nel sistema operativo.
Ci sono quelli del: “Ti voglio bene come un fratello/sorella. Mi dispiacerebbe perderti come persona ma non ce la faccio”. Il tutto condito da scuse con faccia da pesce lesso. Sono loro, gli impiegati della diade, i colletti bianchi del rapporto. Ma scusa mentre diventavi mio fratello/sorella cosa cazzo facevi? Guardavi la Juve? O eri impegnata con la French? Oppure eri troppo impegnato ad intersecarti con il tuo nuovo brivido emozionale da dimenticare di informarmi? E magari, poco poco, non mi potevi avvisare visto che ero così cogliona/coglione da pensare che stessimo insieme? Attenzione signori, i rapporti finiscono, ed è giusto che sia così: è la palestra della vita. Sono gli squat necessari ad irrobustire l’anima, ma l’egoismo umano dovrebbe interrogare se stesso, a volte.
Valentina


















































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