November Rain : ovvero i tumulti del cuore

Una delle principali ballad nella storia della musica.

Un evergreen di quasi nove minuti  scritto da Axl  Roses – “bad ass” storico dei Guns’ – il quale- nonostante cone  nome – per ironia della sorte –  abbia scelto  l’anagramma di “oral sex”, è riuscito poi a partorire un pezzo dolce e struggente che ci ha accompagnati – noi degli anni settanta  e oltre –  in termini di autolesionismo sentimentale, per tutta la nostra esistenza.

Era il 1992 , anno in cui scoppiò Tangentopoli, gli anni delle stragi di Capaci e Via D’amelio , gli anni in cui Fiorello entrava nelle nostre case con il Karaoke.

Erano gli anni dei miei tredici signori, quel periodo in cui i sogni ti frustano a suon di eccessi.

“Use your illusion I” – terzo album dal quale fu estratto il pezzo – segna una grande svolta nel percorso stilistico della band.

Il cambiamento di sound rispetto ai Guns’ precedenti – quelli di “Appetite for Destruction” per intenderci – è lampante.

L’album di debutto  era veloce, massiccio , costituito da tracce d’impatto con la pretesa di diventare iconiche.Un sound molto più grezzo e connotato dall’esplosività.

Qui si arriva a una maturità artistica lampante. La sperimentazione e la qualità musicale della band si articolano attraverso un’elaborazione strumentale e contenutistica molto più studiata.

C’è da dire che Axl stava lavorando a questo brano dall’83.Tracii Guns , uno dei fondatori ed ex chitarrista del gruppo , gli faceva notare quanto la canzone fosse già “appetibile” ma lui rispondeva che non fosse ancora ultimata.

Il video è stato uno tra i più costosi della musica e fu premiato da MTV per la miglior cinematografia. A distanza di 26 anni, su Youtube, conta un miliardo di like. A “billion”, per intenderci.

Adesso, chi non ricorda quella strafiga di Stephanie Seymour ,supermodel degli anni ’90 – appunto – percorrere la navata della chiesa osservata sognante da Axl e da tutti gli ospiti, con l’abito bianco più corto della storia?

La riuscite  a scorgere nella vostra mente?

Ha fatto capolino?

A te non costa nulla. Per noi è una fonte di soddisfazione enorme.

Riuscite a ricordare le note intense e nostalgiche di questo pezzo epico in cui la band unisce la propria musica a quella dell’orchestra creando qualcosa di sinfonico e maestoso?

Ricordate il cazzottone nello stomaco a evocare uno di quegli amori da film che poi si scontra inevitabilmente con le realtà e ne fa – banalmente – le spese?

Avete presente il magone che vi acchiappa alla gola dall’inizio alla fine?

Rammentate quel : “Cause nothin’ lasts forever /And we both know hearts can change /And it’s hard to hold a candle /In the cold November rain”  , che recita uno dei diktat imprescindibili dell’esistenza e cioè che nulla duri per sempre e che il cambiamento nell’ambito dei sentimenti sia una delle opzioni  nonostante la sofferenza che provochi  e nonostante a volte non sia possibile superare una crisi sebbene la buona volontà?

Avete ancora impresso nella vostra mente i fiumi di lacrime e i tumulti degni della migliore tradizione “Sturm und Drang” che vi hanno percosso per qualche amore irrequieto e tormentato il quale abbia letteralmente crepato – sebbene la giovane età- il vostro cuore a metà?

Lo so che la risposta è positiva.

Intendiamoci, i Guns’n Roses non sono una band intoccabile nella mia concezione di musica.

Nel panorama rock’preferisco altro. Ma la voce di Axl , unita a quel modo carnale di suonare la chitarra di Slash, mescolato in maniera perfettamente bilanciata  alla seconda chitarra di Gilby Clark , al basso di Duff Mc Kagan e alla batteria di Matt Sorum (che comunque negli anni cambiarono) , hanno partorito dei pezzi indimenticabili.

E November Rain ne è il perfetto esempio.

Esempio di quella qualità che – ahimè- nella musica moderna, figlia dei talent e della ricerca spasmodica – da parte delle major – di “piazzamento nel mercato”,  appunto ha lasciato il passo a meteore di dubbia qualità.

Nel brano troviamo uno degli assoli di chitarra che hanno fatto la storia della musica.

In realtà gli assoli sono tre e io – personalmente – preferisco quello finale. Rende al massimo l’incertezza in campo sentimentale.

I lunghi ricci neri che gli coprono il volto , gli immancabili occhiali da sole, quel cappello a cilindro onnipresente sono il  marchio di fabbrica di  Slash, questa sorta di figlio illegittimo di Jimmy Page che in questo video  suona nel deserto intorno alla chiesa – in una delle pochissime volte in cui si riesce a scorgere il suo volto – una Les Paul Tobacco Sunburnst  (nonostante fosse un amante della Gibson) come se mimasse un rapporto sessuale e romantico al tempo stesso.

La possiede letteralmente.

Questo assolo è l’equivalente in musica di un cuore spezzato, delle sofferenze per quel  “non so più se ti amo” che ci ha sodomizzati a secco. Si signori, quel dubbio ce lo ha messo nel culo.

Ammettiamolo.

E le note sentite, indugiate, scadenzate durante quell’amplesso con la chitarra- con quello stile inconfondibile che gli ha decretato una stella nella Walk of Fame – ci elicitano il concetto di fine e quella malinconia che – inspiegabilmente – ci coinvolge in un turbinio di ricordi dal retrogusto agrodolce.

Quella sublimazione per la quale  la musica trasforma il dolore in qualcosa che abbia anche un valore.

Il cosiddetto ” naufragar m’è dolce in questo mare ” tanto caro al Leopardi e a noi tutti come una delle poche cose eque dell’esistenza.

Questa esistenza che a volte ci fotte ma altre – nella migliore tradizione dicotomica dei corsi e ricorsi storici – ci fa sentire invincibili.

La pioggia è al tempo stesso foriera di negatività,  ma in maniera ambivalente, della sua insita – e a tratti macabra- capacità di pulire qualsiasi cosa.

Della speranza che è contenuta all’interno del concetto di cambiamento.

D’altronde  – come ha scritto Axl- nulla dura per sempre.

Nemmeno la pioggia di Novembre.

Valentina

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