Sopra le righe, uno stile di vita

Da ammiratrice devota e praticante irreprensibile del sinonimo, l’espressione che più mi provoca assuefazione, che mi trasmette un singolare senso d’appartenenza, è “sopra le righe”.
Nonostante la versatilità della definizione, potenzialmente esprimibile tramite l’ausilio di più modi di dire, è forse l’affezione alla scrittura che mi spinge a prediligerlo a discapito di altri. Il potere dell’allusione ad una dimensione che è in grado, da sempre, di dare forma e ordine ad una tempesta di pensieri arduamente districabili.

Essere “sopra le righe” non è l’adattamento forzato ad una condizione che rende diverso chi viaggia, per natura, sempre puntuale e ad una velocità costante.

Essere “sopra le righe” non è lo sfoggio di un capo che fa tendenza ma, allo specchio, ti fa difetto sui fianchi.

Essere “sopra le righe” non è una categorizzazione atta ad esacerbare un senso di diffidenza e pregiudizio comune.

In un mondo in cui si ragiona, spesso e volentieri, per stereotipi antitetici e stridenti, esprimere posizioni che ricalcano una personalità “sopra le righe” resta una pratica che esula dal vanesio tentativo di schierarsi su un fronte perché sì.

Chi è “sopra le righe” abbraccia quel tipo di individualismo che fa rumore anche quando non ci si impegna ad urlarlo. Un modo di essere libero dalle costrizioni imputabili a codici veementemente discutibili. Un modo di essere che opera un tipo di selettività, senza muoversi attivamente per perpetrarla. Un modo di essere che porta a non preoccuparsi se, per scrivere la propria vita, il rigo sottostante serva solo come linea guida teorica per crearsene idealmente uno proprio. Al contrario, in diagonale, in verticale.

A seconda delle proprie pulsioni, dei propri sogni, delle proprie esigenze.

A me, comunque, quel rigo predefinito piace solo sfiorarlo. Ogni tanto.

Alessia

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