The Great Gig in the Sky, ovvero l’orgasmo del Rock
Il 21 gennaio 1973 Clare Torry , corista londinese ormai disillusa circa la possibilità di fare successo , viene convocata da Alan Parsons – musicista, cantante ma soprattutto ingegnere del suono britannico – allo studio 3 di Abbey Road , strada di Londra situata tra il borgo di Camden e il borgo di Westmnister divenuta celebre per essere stata immortalata nella copertina dell’omonimo album dei Beatles , per incidere quella che si sarebbe rivelata una delle canzoni più importanti della storia del rock.
Drammatico e seducente brano –quarta traccia del monumentale album “The Dark Side of the Moon” ovvero un compendio di rock, pop , lounge , blues in classifica per 700 settimane – pezzo dall’attitudine strumentale e dalla durata di più di 4 minuti circa , The Great Gig in the Sky – letteralmente un gioco di parole tra “Il grande Carro nel Cielo” e il “Grande concerto nel cielo”- si articola semplicemente su due accordi eseguiti con l’Hammond , una chitarra pungente e una sezione ritmica abbastanza regolare. E voce.
Ma, Cristo che voce.
Una voce urlata, disperata, imponente e delicata al tempo stesso.
Una voce che vomita sensazioni e ci riempie di altrettante emozioni, che vanno dal pugno in pieno stomaco, al relax, alla pelle d’oca assoluta.
Una voce che trabocca di tutta la gamma di percezioni dell’animo umano.
Una voce che è impossibile non apprezzare.
Ci inchioda signori.
Ci crocifigge alla nostra anima.
Ci frusta.
E sentiamo le carni che si squarciano, il bruciore della ferita e il dolore del livido, ma anche il benessere della rigenerazione.
Questo pezzo, assume la sua connotazione epica, esclusivamente per quei gorgheggi della protagonista che travolgono tutto ciò che trovano a portata di mano.
E’ come se , la seppur notevole composizione musicale ,prendesse davvero forma attraverso quel vocalizzo che è compendio di contrasti in cui il tenero e il tragico si mescolano generando qualcosa di unico.
La vocalist – che Gilmour all’inizio bollò come “una gradevole casalinga inglese”- proveniva da una formazione a un college di buona famiglia, dove ebbe qualche problema per il suo carattere anticonformista.
Parson l’aveva sentita cantare “Light My Fire” dei Doors. Questo gli era stato sufficiente per proporla ai Pink Floyd. Questo formidabile tecnico del suono – nell’accezione più pura- aveva ragione da vendere e un fiuto per il talento come i cani da tartufo per il prezioso tubero.
E aveva ragione da vendere.
A te non costa nulla. Per noi è una fonte di soddisfazione enorme.
Claire (o Clare, rimarrà l’arcano con una percentuale fifty/ fifty) si presenterà allo studio digiuna di Pink (non li ascoltava né li apprezzava particolarmente), e registrerà una mezza dozzina di”take” sulla base di indicazioni molto marginali e imprecise.
“Non cantare nulla”, le dissero. “Improvvisa”.
Il primo tentativo fu pessimo.
La protagonista iniziò a cantare espressioni tipiche e vocalizzi tipo : “ Oh , Ah, Baby , Baby Yeah”. Ma subito gli consigliarono di cantare note più lunghe e comunque di diventare l’estensione del piano liquido.
E’ nella registrazione della seconda track che esce il genio.
Claire racconta che iniziò ad immaginare la sua voce come un’estensione della chitarra – lip steel- e a sentirsi come una gospel mama, le soliste dei cori gospel.
La sua canna entra potentemente nel brano e lo abita, in tutte le sue sfaccettature.
Signori, quei vocalizzi sono un cazzo di orgasmo.
Un amplesso voluttuoso che fa vibrare ogni anfratto del nostro io.
Quello che grida e che ci chiede tregua.
Quello che sale, poi scende per ritornare nuovamente su, talmente su da provocarci i brividi lungo la schiena.
Quel brivido che resta sugli acuti e ci pugnala in pieno petto, prima di morire con rassegnazione, prima di diventare pace.
Dopo aver registrato l’ultima volta la Torry lascia lo studio pensando che non sia andata bene. Percepisce paga doppia perché è domenica.
30 sterline signori.
30 fottutissime sterline.
Da Gesù Cristo che si trasforma in Giuda.
E col ghigno beffardo opera un tradimento quasi involontario.
Solo nel 2004 fa causa ai Pink Floyd e alla EMI perché le vengano riconosciuti i diritti d’autore.
Nel 2005 la Corte Suprema le dà ragione.
Ella diventa coautrice del brano. Regala un tocco connotante.
The Great Gig in the Sky è solo in prima battuta un pezzo che “esprime” in musica il passaggio dalla vita alla morte.
Esso può diventare tutto ciò che noi vogliamo che sia.
Claire ha avuto i suoi 15 minuti di gloria.
Eterni.
Valentina
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!